A causa della povertà volevo rinunciare al mio stesso bambino, finché non ricevetti una lettera dalla mia prozia defunta che mi lasciava tutta la sua eredità – ma con una strana condizione… 😱😱
Stavo andando in ospedale per rinunciare al bambino. A dire la verità avevo sempre sognato di avere un figlio, ma in quel momento non potevamo assolutamente permetterci di crescerne uno.
Povertà e debiti senza fine, un appartamento in affitto in un quartiere terribile, la sopravvivenza da uno stipendio all’altro – e un marito pigro che prometteva sempre che presto avrebbe trovato un lavoro.
Durante il tragitto pensavo a tutto questo, quando improvvisamente mi resi conto di aver dimenticato i documenti a casa. Senza di essi la procedura non era possibile.
Feci inversione con la macchina, senza sapere che quella piccola distrazione avrebbe cambiato per sempre la mia vita.
Tornando a casa trovai una lettera davanti alla porta. Strano, chi scrive ancora lettere oggi? Poi però notai il timbro di uno studio legale sulla busta.
Mittente – Alice Schneider, la mia prozia che non vedevo da quasi trent’anni e che avevo quasi dimenticato, visto che aveva vissuto quasi tutta la vita all’estero.
Aprii lentamente la busta e iniziai a leggere.
Scoprii che la mia prozia era morta un mese prima e mi aveva lasciato tutto il suo patrimonio – un appartamento in centro, una casa di campagna e tutti i risparmi.
Ma insieme ai documenti ufficiali c’era anche una sua lettera personale. In essa scriveva che conosceva la mia situazione, che sapeva del mio bambino. Diceva che voleva aiutarmi – ma che aveva posto una condizione davvero strana… 😲😱 Continua nel primo commento 👇👇
Voleva che mio figlio, dopo la nascita, portasse il suo cognome e il nome che lei aveva già scelto. Inoltre – il bambino non avrebbe mai dovuto sapere che io ero sua madre.
Per lui sarei dovuta essere soltanto una “parente che lo cresce”. Nella sua mente la vera madre sarebbe dovuta restare la mia prozia defunta.
Lei stessa non era mai riuscita a creare una famiglia o a generare un figlio – dopo di lei doveva rimanere un erede, il suo “bambino attraverso di me”.
E proprio quel bambino – e non io – avrebbe dovuto ereditare tutto dopo la mia morte.
Rimasi con la lettera tra le mani, senza riuscire a respirare. Davanti a me c’erano due strade, entrambe dolorose.
Accettare le sue condizioni significava rinunciare al diritto di essere chiamata mamma da mio figlio, consegnare volontariamente una parte di me stessa, nascondere la verità, vivere in una menzogna continua.
Per lui sarei rimasta soltanto una zia lontana, una donna estranea che si prende cura di lui, ma senza portare in sé la cosa più sacra – il nome di madre.
Ma rifiutare l’eredità avrebbe significato anche rifiutare il bambino, che avevo già deciso di non far nascere perché la povertà non lasciava speranze. Così non sarebbe mai venuto al mondo.
Mi sarei salvata dal dolore della menzogna, ma avrei distrutto una vita che era già nata dentro di me.
Rimasi in cortile con quella lettera in mano, e il cuore si spezzava. Cosa scegliere?










